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al testo di Amina Narimi
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Col viso accolto nel silenzio mi hai mostrato come fare a raccogliere i fiori delle felci con le mani a lume della luna, come un’ostia, immersa dentro i fossi, contro l’erba dello smarrimento
quando benedicevi la vallata nel più semplice dei riti all’orizzonte seguendo i vitelli al primo pascolo con i semi alzavi una canzone madida d’eterno. la tua gioia, ora, come un’erica che sbuca nell’inverno, cammina a piedi giunti col mio pane- una mano smuove il filo del silenzio e si lascia cadere nello sguardo qualcosa di esistente come il nulla negli steli più lontani, in cima agli alberi- legandoci al passato ed in avanti giacendo accanto a noi, come una bestia,
conosco l'ampio dorso del silenzio, un animale sempre vivo quando sporge nella sera e s'inabissa nel profondo della pancia, lentamente, quasi fosse un suo risvolto per quanta cura c’è, e discrezione, nel tu del gesto che mi ascolta-
come un nido che sognando inizia per cantare nello spazio sporgendo le sue ali come fiori propagando a fondo lo splendore che accompagna e segue ogni parola, l'indicibile che abita nel verbo, che ricopre la risposta trasparente quando torna a trattenersi nel respiro, nel paradiso delle voci impercettibili
Così ti parlo, clandestina, nei miei piccoli campi della luce, godendo fino all’estasi dell’ombra per assumere le nostre solitudini a legame disumano, in questa vastità:
faremo un altro viaggio e un canto nuovo allargando gli occhi chiari come pozzi per i fiori trasparenti delle felci ci fermeremo alla stazione delle immagini raccogliendo il tempo in unità si chiuderà la notte, come fanno le stagioni sui ciliegi quando il bianco appare d’improvviso e il verde va da un albero a quell'altro, finché una lacrima compare, finché la rende visibile una luce, facendo l’arco e ricadendo come neve per quando sarà grande, per quando tornerà a sprofondarci dentro, smisurata riprendendo la poesia, nella parte dell'inizio risorgendo originaria la parola ogni volta che ti vedo - eternamente.
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